1908: un gruppo di giornalisti lombardi visita Vercelli

Agli inizi del Novecento i giornalisti lombardi, come succedeva del resto anche ai loro colleghi liguri e piemontesi, avevano la possibilità di partecipare in gruppo a  “gite”, come si diceva allora, che duravano più  giorni nei territori vicini e permettevano di unire allo svago l’informazione  diretta sui prodotti locali. Così nel 1908 Ercole Arturo Marescotti, capo redattore del prestigioso mensile milanese Ars et Labor, organizzava una “gita” in Monferrato e decideva di includere nelle tappe del rientro  una breve sosta a Vercelli, data l’importanza del suo mercato risicolo. In realtà però il programma del soggiorno vercellese risultava alla fine ampliato del tutto inaspettatamente rispetto alle previsioni fatte, perché veniva aggiunta una visita alla città con due guide d’eccezione, quali erano Pietro Masoero e Guido Marangoni. E il piacere non era inferiore alla sorpresa in tutti coloro che vedevano per la prima volta Vercelli, perchè la patria del riso svelava i suoi notevoli  tesori artistici. Il merito di questa scoperta spettava in particolare a Guido Marangoni, giornalista e  critico d’arte che era già noto per i suoi scritti, molti dei quali riguardavano proprio Vercelli. Guido MarangoniIn particolare si era occupato di Bernardino Lanino e dell’Abbazia di Sant’Andrea, o meglio del “bel” Sant’ Andrea, come l’ avrebbe definito nel titolo dell’opera pubblicata nel 1910. Anche in seguito  Marangoni avrebbe dedicato la sua attenzione di studioso a Vercelli, città che, sebbene non gli avesse dato i natali e non lo contasse più tra i suoi cittadini, lo considerava  a sua volta sempre il figlio di cui andare  orgogliosa.  Nel frattempo stava diventando una figura di spicco nella vita culturale, per cui ricopriva incarichi di  responsabilità nei musei e nelle accademie milanesi. Inoltre nutriva un forte interesse per le arti decorative  e nell’intento  di valorizzarle ideava una Mostra Internazionale a Monza, diventata in seguito la Triennale di Milano, scriveva un’ enciclopedia e fondava il mensile  La Casa Bella, rivista per gli amatori della casa bella, l’attuale Casabella. E  il primo numero della rivista veniva pubblicato nel 1928, a vent’anni esatti dalla visita fatta a Vercelli dal gruppo dei giornalisti lombardi.

Questo gruppo era composto da diciannove pubblicisti, tra direttori e corrispondenti di giornali o di riviste, ed era ben affiatato, anche se al suo interno esistevano molte diversità  a livello di impostazione ideologica. L’elenco dei periodici che risultavano rappresentati, alcuni dei quali sono in edicola ancora oggi, comprendeva il Giorno di Napoli, la Tribuna di Roma, il Secolo, il Corriere della Sera, l’Unione, la Lombardia, l’Auto d’Italia, il Piccolo di Trieste, il Sole, il Tempo, la Rivista dei parroci, la Sera, la Valtellina di Sondrio, la Provincia di Brescia, il Caffaro, la Regione Lombardia e la Rivista per tutti.

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La stampa locale dava ampio risalto alla visita, dall’arrivo in città dei giornalisti la sera di martedì 15 settembre fino alla  loro partenza, avvenuta il giorno dopo. Anzitutto il sindaco di Vercelli, avv. Giuseppe Fortina, aveva organizzato una cena in onore degli ospiti, con la collaborazione di Pietro Masoero e di Ermenegildo Gallardi, consigliere comunale e direttore della Sesia. E il banchetto era stato all’altezza della fama del ristorante di quell’ Albergo  del Leon d’oro , che nella sua lunga storia aveva dato il nome alla via nella quale aveva l’ingresso, divenuta poi via S. Anna e infine  via Fratelli Ponti. Infatti il gestore Giovanni Forni aveva curato tutti i dettagli in base al Menù, che era stato fatto stampare secondo le usanze del tempo con la dovuta eleganza e offerto ai commensali dallo stesso Gallardi. I partecipanti alla cena erano numerosi, perché ai giornalisti milanesi si erano uniti quattro loro colleghi di Vercelli e con gli organizzatori c’erano l’economo del Comune e alcuni privati. Alla fine, o meglio “allo champagne”, aveva luogo lo scambio dei ringraziamenti che erano accompagnati dagli applausi e avevano un’appendice allegra, perché Colantuoni, uno dei redattori del Tempo, tra il divertimento generale recitava con molta spigliatezza una vivace poesia. Gli ospiti venivano poi accompagnati dai colleghi in diversi alberghi, essendo stato possibile sceglierli in base alle varie esigenze, perchè allora superavano la quindicina quelli attivi, molti dei quali si trovavano in centro.

Durante la mattinata successiva invece di una partenza tempestiva,  dal momento che erano tutti d’accordo, aveva luogo la visita guidata della città, che comprendeva alcune mete particolari. Così dopo aver ammirato gli affreschi di Gaudenzio Ferrari nella Chiesa di San Cristoforo, i rappresentanti della stampa lombarda avevano il privilegio museoborgdi accedere al Museo Borgogna,  che al momento non era ancora aperto al pubblico. Avevano così modo di vedere i preziosi arredi e le ricche collezioni d’arte, che gremivano le stanze della casa-museo, in quanto non era stato ancora costruito l’ampliamento già progettato  nel giardino retrostante.  Inoltre i giornalisti lombardi ponevano le loro firme sull’apposito registro, come avrebbero poi fatto quasi un mese dopo le autorità invitate l’11 ottobre all’ inaugurazione  del Museo. Il giro in città continuava poi fino a raggiungere l’Abbazia di Sant’Andrea che Marangoni e Masoero, i due insoliti ciceroni, erano in grado di illustrare con passione e competenza, per averla  analizzata  e fotografata in tutti i suoi dettagli. Infine, prima di lasciare Vercelli in treno o in automobile, i giornalisti lombardi offrivano il pranzo in quello che era all’epoca l’apprezzato Ristorante della Stazione, dove il gestore Antonio Ravetti faceva servire le abituali gustose portate.

Passavano poche settimane e  Marangoni scriveva già sul Piccolo della Sera di Trieste e

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sulla Patria degli Italiani di Buenos Ayres in merito alla visita e alle numerose bellezze artistiche di Vercelli, città che non esitava ormai a definire la ” Firenze del Piemonte”. E La Sesia metteva in risalto  la sua volontà costante di far conoscere un grande patrimonio d’arte, patrimonio che i vercellesi emigrati in Argentina ricordavano a maggior ragione con nostalgia, perchè ne vedevano pubblicate all’interno dell’  articolo alcune immagini, come quella degli “svelti pinnacoli” del Sant’ Andrea.