UPO: inaugurazione dell’anno accademico 2012-2013

Durante l’ultimo anno accademico l’Ateneo “Avogadro” ha registrato molti cambiamenti in linea con la Riforma Gelmini: nuovo Statuto, riorganizzazione dipartimentale, rinnovate assemblee di governo dell’Ateneo, nuovo Rettore e Direttore generale, riadeguamento dell’offerta formativa.

Sullo sfondo si sono profondamente trasformate le  strutture economiche, sociali e culturali del Paese, a causa dell’internazionalizzazione dei mercati e degli scambi e della crisi economica. In quattro anni il fondo di finanziamento ordinario è stato tagliato del 10% circa, impedendo gravemente lo sviluppo dei nuovi atenei. In generale le immatricolazioni sono calate, il turnover del personale è stato contenuto al 20%, sono stati contratti gli investimenti per il diritto allo studio. In compenso la ricerca scientifica, con enormi sforzi, non è arretrata, grazie ai programmi lungimiranti del decennio precedente. Non sono episodi congiunturali o di breve durata; si sta perdendo l’orizzonte di lungo periodo. C’è il serio rischio di catapultare l’Università “fuori dall’Europa”, impedendole di partecipare ai grandi progetti internazionali.

Rispetto a questi dati, l’Università del Piemonte Orientale pare essere in controtendenza. È aumentato del 3% il numero delle immatricolazioni e il corpo docente è stabile; la ricerca ha proseguito la sua produzione con buoni risultati; si sono estinti debiti pregressi e stanno per essere consegnati nuovi spazi per la didattica, la ricerca e l’amministrazione. Il conto consuntivo del 2012 è in pareggio, come pure il bilancio di previsione del 2013. Una patente di potenziale “virtuosità”, insomma.

Eppure le minacce incombono. La comunità scientifica italiana non è né omogenea né solidale, ma un  insieme composito di istituzioni animate da interessi, attese e vocazioni privi di un orientamento comune. Mancando le risorse, possono innescarsi processi selettivi capaci di penalizzare le università strutturalmente più deboli, più esposte e più giovani. Si rischia, insomma, non solo di avere un’“Università fuori dall’Europa”, ma anche “fuori dal territorio”. C’è il pericolo che le università vengano ricentralizzate in poche grandi città, aumentando così le barriere alle iscrizioni degli studenti e vanificando gli sforzi di scambiare saperi e innovazioni tra i territori locali e le reti globali.

Per scongiurare queste sinistre avvisaglie, occorre assumere come riferimento operativo il cosiddetto “triangolo della conoscenza”, in cui figurano come vertici la formazione, la ricerca e l’innovazione e i cui lati definiscono le reciproche relazioni. Non si possono più perseguire indirizzi univocamente orientati verso un solo vertice del triangolo e/o manifestare disinteresse verso ciò che non appartiene direttamente al proprio campo d’azione.

Da queste premesse si possono enucleare alcuni traguardi verso cui puntare:

a)      crescita del numero degli iscritti, riduzione degli abbandoni e recupero della mobilità passiva (studenti del territorio che si iscrivono in altri atenei);

b)      ruolo cruciale all’attività di ricerca, di assistenza, di sperimentazione, di innovazione e di brevettazione;

c)       oculato controllo della spesa e del risultato;

d)      tripolarità delle sedi come espressione di un unico sistema formativo, della ricerca e dell’innovazione;

e)      stabilizzazione dell’offerta formativa e suo adeguamento agli standard europei;

f)       cooperazione interdipartimentale, alleanze interateneo, programmi internazionali (es.: Giurisprudenza a Novara, Economia aziendale ad Alessandria, sinergie didattiche con il Politecnico e l’Università di Torino e con l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo);

g)      rafforzamento del sistema dei servizi;

h)      qualità e accreditamento;

i)        nuovo modello di organizzazione del lavoro, in cui far convergere le prestazioni tecniche, amministrative e cognitive della comunità universitaria in filiere operative efficienti;

j)        un Ente per il diritto allo studio del Piemonte orientale.

La consapevolezza di ciò di cui c’è bisogno scaturisce anche da un forte e ampio confronto con la società nella quale l’Ateneo è insediato. Ciò presuppone una collettività locale che consideri l’Università come una componente irrinunciabile del suo contesto. È più che mai indispensabile che l’Università del Piemonte Orientale venga riconosciuta dalle istituzioni, dalle famiglie, dalle imprese e dalle associazioni di impresa, dalle professioni e dal mondo del lavoro, dai giovani neolaureati e dagli studenti.

Il modello cui riferirsi è quello delle “università socialmente impegnate”, che hanno l’obiettivo di intercettare la conoscenza che si costruisce a livello globale; di produrre conoscenza nuova; di condividerla con le comunità in cui sono insediate; di recepire da queste le aspettative, i bisogni, i sogni; di selezionarne le eccellenze per ritrasferirle su scala globale.

Questo modello può contribuire all’affermazione di una “città-regione” in cui i benefici dello sviluppo, della giustizia distributiva e dell’equità territoriale sono garantiti e costituiscono un fattore generativo del vantaggio competitivo che a questa scala si produce. Un “altro Piemonte”, insomma: quello che non è ancora stato del tutto raggiunto dai flussi del progresso e dell’avanzamento metropolitano, reclamati a gran voce per assicurarsi integrazione, sviluppo, coesione sociale, economica, culturale e territoriale.

 

SINTESI DELL’INTERVENTO DEL DIRETTORE GENERALE, PROF. GIORGIO DONNA

 

La nuova figura del direttore generale sottintende che un ateneo è un’organizzazione complessa che richiede una figura di tipo manageriale con il compito di consentire un governo più razionale delle risorse umane, finanziarie e logistiche, migliorandone il grado di efficienza e assecondandone più efficacemente gli indirizzi strategici. Utilizzando la “matrice swot” [Forze (Strengths), Debolezze (Weaknesses), Opportunità (Opportunities), Minacce (Threats)], si possono individuare le voci in grado di condizionare le decisioni di oggi e i risultati di domani.

Tra le minacce, c’è il rischio finanziario. L’attuale situazione finanziaria dell’Ateneo è  complessivamente solida, ma le prospettive sono preoccupanti. Tutte le fonti di entrata sono minacciate dagli effetti della crisi economica e di quella della finanza pubblica nazionale e locale. Ulteriori riduzioni dei contributi ministeriali sono in arrivo; le tasse pagate dagli studenti non crescono; le somme provenienti dai progetti di ricerca consentono all’Ateneo di autofinanziarsi in misura marginale; le crescenti difficoltà finanziarie degli enti locali non consentono loro di far fronte a impegni già assunti. Se le entrate sono a rischio crescente, le spese sono al contrario assai rigide, in quanto composte in larga prevalenza di costi fissi. Il personale è relativamente giovane e non si può contare su prossimi significativi pensionamenti. Di conseguenza il conto economico, che finora ha chiuso in pareggio, è destinato a entrare in zona di perdita.

La situazione rilancia fortemente la necessità di posizionarsi in una dimensione “competitiva”: piaccia o non piaccia, gli atenei devono saper competere, perché da questa capacità dipenderà la loro possibilità di attrarre risorse finanziarie  e quindi di potersi consolidare, crescere o sopravvivere. È finito e non tornerà il tempo in cui le risorse erano forse poche ma comunque sicure. Per disporre di fondi occorre avere studenti; per avere studenti occorre offrire una proposta convincente ed economicamente sostenibile; per acquisire fondi di ricerca occorre presentare progetti di qualità. La sfida competitiva è ormai ineludibile, e occorre essere pronti e attrezzati per affrontarla.

Fortunatamente ci sono anche opportunità: tra queste il “potenziale di mercato” esistente sul territorio. Attualmente molti studenti si iscrivono ad altri atenei e molti giovani rinunciano a proseguire gli studi. La nostra Università deve darsi l’obiettivo di diventare ed essere riconosciuta come l’ateneo di riferimento del territorio del Piemonte Orientale e agire con rapidità e determinazione in questa prospettiva. La via fondamentale è costituita dalla predisposizione di un’offerta formativa coerente con la domanda e di un novero di servizi ricco e appropriato.

Tra le debolezze che affliggono il nostro Ateneo c’è un brand debole, poco conosciuto e riconosciuto, poco capace di valorizzare le qualità. Non si può contare sulla tradizione di un lungo passato, né fare leva su una grande città come luogo fisico di riferimento. L’obiettivo, però, è quello di essere riconosciuti come l’Università del Piemonte Orientale e operare in modo che questa denominazione diventi nel tempo un brand di valore. L’Ateneo aspira a essere un catalizzatore, un’opportunità per promuovere un’identità collettiva che possa riuscire utile e vincente per tutti, permettendo a ognuna delle tante vitali località che lo popolano di assumere, sul piano culturale, economico, scientifico, sociale, un ruolo da protagonista ben superiore a quello che ognuna da sola potrebbe ambire ad occupare.

L’invidiabile punto di forza dell’Ateneo è il capitale umano. Tra i 380 docenti di ruolo ci sono figure di eccellenza che riportano lusinghiere performance di carattere scientifico. Il personale tecnico-amministrativo (326 persone) è una risorsa su cui si può fare conto e che merita di essere valorizzata. È un capitale giovane, di qualità, motivato e composto, tra l’altro, di molti nostri laureati.

In qualunque ateneo, e nel nostro in particolare, di management c’è urgente bisogno come chiave per assicurare continuità e successo. La strategia è il “progetto di futuro” di un’organizzazione, che permetta di contrastare le minacce (il rischio finanziario), che sappia cogliere le opportunità (per esempio, il mercato potenziale), che sopperisca alle debolezze (come la mancanza di un brand), che faccia leva sui punti di forza (su tutti, il capitale umano).

 

SINTESI DELL’INTERVENTO DEL RAPPRESENTANTE DEGLI STUIDENTI, DOTT. LEONARDO LUCA ARGIRÒ

 

Vista dal punto di vista degli studenti, l’Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” ha raccolto negli anni un crescente successo. Caratterizzano questo Ateneo ottimi livelli di didattica e ricerca e personale sempre pronto ad aiutare le nuove matricole un po’ disorientate. Tuttavia non tutto è perfetto e rimane ancora molto da fare.

Sarebbe utile creare un Ente per il diritto allo Studio del Piemonte orientale, perché è decisamente visibile l’attuale differenza di trattamento tra gli studenti di Torino, nettamente  privilegiati, e quelli del Piemonte Orientale, un po’ accantonati. Una gestione autonoma potrebbe far aumentare le convenzioni con bar, ristoranti, librerie, cinema e locali e sarebbe meglio gestito il sistema di assegnazione delle borse di studio.

Le istituzioni di Alessandria, Novara e Vercelli potrebbero accordarsi per creare una rete di trasporti pubblici con biglietto unico, accrescendo i servizi e formando un territorio con spirito universitario sempre più unito. Studenti, Università, Istituzioni dovrebbero collaborare per trasformare le città in veri e propri centri universitari con punti di aggregazione quali biblioteche, teatri, locali, cinema o aule adibite a cinema per poter offrire un ampio palinsesto di eventi culturali e ricreativi.

Va migliorata l’informatizzazione. Si dovrebbe creare un sistema di registrazione dei voti e della  carriera studentesca online; i siti dell’Ateneo e dei dipartimenti dovrebbero essere snelliti e semplificati; le dotazioni delle aule informatiche dovrebbero essere continuamente aggiornate. Se si vuole avere davvero un’università “a misura di studente”, va ottimizzata la fruizione degli edifici, che spesso difettano di aule studio e impongono orari limitati per l’accesso alle biblioteche e alle aule informatiche. Si deve dare maggiore impulso alla mobilità internazionale, ampliando le collaborazioni con le università straniere e creando corsi di laurea erogati in una lingua straniera. Vanno indagate e istituite nuove forme per poter trascorrere un periodo di studio all’estero.

Imprese, istituzioni e stakeholder del territorio devono capire l’importanza dell’Università, luogo da cui uscirà la classe dirigente del futuro. Non tutti i territori hanno la fortuna di avere la presenza di un Ateneo così ben organizzato e funzionante. Si devono dunque concentrare le energie per costruire un filo conduttore tra la teoria e la pratica. Non si devono costringere i più dotati a espatriare.

Nella difficile situazione in cui il mondo arranca, gli studenti devono essere i primi a darsi da fare in quel quotidiano che si chiama “Università”, anzi, “Università del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro”. Bisogna diventare un popolo universitario, che studia quando si deve studiare, ma che sa anche creare eventi culturali cui poter partecipare tutti insieme. La struttura tripolare dell’Ateneo non aiuta, ma la tecnologia facilita le comunicazioni che devono essere continue tra gli studenti. A vent’anni non si può essere pigri di spostarsi da una città all’altra per partecipare a iniziative che connotano, vivificano, aggregano, completano e nobilitano la condizione di studenti.

I giovani di oggi non sono fortunati come altri che si sono trovati in condizioni globali più favorevoli, ma questo non può che essere uno stimolo a essere migliori, a formarsi meglio, a credere di più in se stessi. Bisogna costruire il futuro da soli. Il primo mattone è l’università; il primo mattone è diventare un popolo universitario.

 

SINTESI DELLA PROLUSIONE DELLA DOTT.SSA GIORGIA CASALONE

L’università è una delle principali istituzioni delle società basate sulla conoscenza. Attraverso le sue due funzioni chiave, la didattica e la ricerca, essa migliora il livello e la qualità del capitale umano, diffonde conoscenza e contribuisce allo sviluppo culturale e sociale dei paesi. A elevati livelli di istruzione sono associate migliori condizioni di salute, maggiore longevità, maggiore consapevolezza dei diritti, più intensa partecipazione all’attività pubblica da parte dei cittadini. Si vuole qui evidenziare l’impatto economico delle università sulla società nel suo complesso e dimostrare che:

1) i rendimenti privati e collettivi dell’istruzione terziaria sono rilevanti e che quindi  l’investimento in istruzione da parte delle famiglie e degli Stati è tra i più remunerativi;

2) l’uguaglianza di accesso all’istruzione terziaria da parte di individui provenienti da contesti socio-economici diversi è ancora lontana dall’essere realizzata;

3) la crescente domanda di istruzione terziaria impone di ripensare i meccanismi di finanziamento del sistema universitario.

L’istruzione rappresenta un investimento che comporta costi e che genera benefici sia privati sia pubblici. Le analisi che si occupano di misurare gli effetti collettivi dell’istruzione confermano la teoria del capitale umano, sottolineandone l’impatto positivo sulla produttività complessiva dei sistemi economici. L’aumento di un anno del livello medio di istruzione della popolazione aumenterebbe il livello del pil pro capite di una percentuale compresa tra il 3 e il 6%; si sostiene pure  che un anno di studi in più comporterebbe un aumento compreso tra 1 e 3 punti percentuali del tasso di crescita dell’economia.

Circa l’istruzione terziaria, sulla base delle stime più recenti è possibile affermare che:

a)      i rendimenti privati dell’investimento sono sempre sensibilmente superiori a quelli pubblici, a causa dell’elevato finanziamento pubblico dell’istruzione terziaria;

b)      i rendimenti privati sono per la totalità dei paesi ocse superiori al 5%: l’investimento nell’università per i propri figli è pertanto uno tra gli investimenti più remunerativi che una famiglia possa decidere di sostenere;

c)       esiste una relazione negativa tra rendimenti privati in istruzione terziaria e pil pro capite; il rendimento della laurea, in altre parole, tende a decrescere al crescere della ricchezza del paese.

La gran parte dei sistemi di istruzione sono ancora lontani dal realizzare l’uguaglianza di accesso all’università per ragazzi che provengono da diversi contesti socio-economici. I figli di genitori con livelli di istruzione più elevati hanno una maggiore probabilità di accedere all’università rispetto ai figli di famiglie con livello culturale inferiore. Il mancato accesso all’istruzione terziaria da parte di studenti talentuosi, ma provenienti da contesti socio-economici svantaggiati, rappresenta una situazione in cui, a un’evidente iniquità, si accompagna un’altrettanto evidente inefficienza, dal momento che non viene raggiunto il livello di capitale umano ottimale.

Le possibili spiegazioni della disuguaglianza di opportunità nell’accesso all’istruzione terziaria fanno riferimento a un problema di scarsità di risorse, cognitive o economiche, della famiglia. Nel primo caso i ragazzi provenienti da famiglie di ceto basso sconterebbero un minor accumulo di risorse cognitive nella fase cruciale del loro sviluppo, che coinciderebbe con la fase pre-scolare o, comunque, con i primi anni della scuola dell’obbligo. Nel secondo caso, invece, il mancato accesso all’istruzione terziaria sarebbe un mero problema di liquidità e di difficoltà di accesso al credito per finanziare gli studi universitari. Distinguere tra queste due cause serve per identificare le soluzioni di politica economica più efficaci. Nel primo caso occorrerebbe agire anzitutto sui primi anni di formazione dei bambini, investendo molte risorse sulla fase pre-scolare e, successivamente, sulla scuola dell’obbligo. Nel secondo caso la soluzione sarebbe invece più semplice, perché basterebbe fornire risorse economiche a sostegno delle famiglie nel momento in cui vogliono iscrivere i figli all’università.

Secondo gli studi più recenti, tuttavia, la spiegazione che si basa sulla scarsità di risorse economiche delle famiglie sembra avere un peso piuttosto limitato. Sarebbe forse più utile posticipare quanto più possibile nel tempo la selezione del percorso scolastico da intraprendere dopo la scuola dell’obbligo, oppure facilitare quanto più possibile il passaggio da percorsi professionalizzanti a percorsi generici in modo da consentire agli studenti, che maturassero più tardi l’interesse ad accedere ai percorsi universitari, la possibilità di farlo agevolmente.

I sistemi universitari si finanziano attraverso risorse pubbliche (trasferimenti alle università o agli studenti) e private (tasse universitarie e investimenti delle imprese). Nella stragrande maggioranza dei paesi la componente pubblica del finanziamento dell’istruzione terziaria è decisamente prevalente rispetto a quella privata. Di conseguenza gli studenti o, meglio, le loro famiglie, sopportano un costo privato diretto, per accedere all’università, che è inferiore a quello sostenuto dalla collettività.

La componente pubblica del finanziamento dell’istruzione terziaria trova giustificazione economica sia sul piano dell’efficienza sia su quello dell’equità. Dal punto di vista dell’efficienza si riconoscono i benefici che vanno alla collettività (maggiore ricchezza, ma anche migliori condizioni di salute, ecc.), i cui costi non dovrebbero quindi essere sopportati dai privati. Dal punto di vista dell’equità, si redistribuiscono le risorse pubbliche che migliorano le opportunità di accesso all’università per coloro che sono effettivamente vincolati dal punto di vista economico.

Il modello ideale di finanziamento del sistema universitario prevede che una parte non irrilevante dei costi sia direttamente a carico dei beneficiari dei rendimenti privati dell’istruzione. Questo però può avvenire in due momenti diversi: o durante il periodo in cui lo studente è iscritto all’università, attraverso il pagamento delle tasse universitarie, oppure nel momento in cui il laureato ottiene un lavoro. In questo secondo caso il laureato, ormai diventato lavoratore, restituirebbe le risorse che la collettività ha investito sulla sua formazione o, semplicemente, attraverso il pagamento di un’imposta progressiva sul reddito o, ancora, attraverso la restituzione del prestito ottenuto per finanziarsi gli studi.  Posticipare il pagamento del costo dell’istruzione terziaria all’ingresso nel mercato del lavoro vorrebbe dire commisurarlo al reddito dei laureati e non a quello delle famiglie di provenienza. In questo modo si realizzerebbe una perfetta coincidenza di interessi tra i laureati e la collettività nel suo complesso, dal momento che quest’ultima beneficerebbe, attraverso il maggiore gettito fiscale, del maggiore reddito dei laureati. In questo quadro la componente puramente pubblica dovrebbe intervenire, da un lato, per finanziare quella porzione del costo dell’investimento che dà origine ai rendimenti collettivi e, dall’altro, per rimuovere i vincoli all’accesso all’università per coloro che non hanno risorse economiche adeguate per accedervi.

I paesi con tasse universitarie basse, o addirittura nulle, permettono agli individui di restituire quanto la collettività ha investito sulla loro formazione attraverso regimi fiscali progressivi. Viceversa, i paesi in cui gli studenti devono sostenere tasse universitarie più elevate sono generalmente caratterizzati da sistemi fiscali meno progressivi.

Venendo infine al finanziamento della ricerca, a parità di risorse disponibili i sistemi caratterizzati da una maggiore autonomia hanno performance sensibilmente migliori (all’incirca il doppio) rispetto a quelli più centralizzati.

Gli elevati rendimenti privati e pubblici dell’investimento in istruzione e le evidenti ricadute in termini di progresso tecnologico e di sviluppo della ricerca e della didattica universitaria hanno indotto i paesi dell’Unione europea a individuare, nell’ambito della strategia per il 2020, l’obiettivo del 40% di laureati nella popolazione di età compresa tra i 30 e i 34 anni.

L’aumento della quota di lavoratori qualificati risulta oltre tutto strategico per la sostenibilità dei sistemi di welfare europei, dal momento che il progressivo invecchiamento della popolazione, accompagnato da tassi di fertilità costanti, se non in diminuzione, dovrà essere compensato da una maggiore produttività della quota sempre più scarsa di forza lavoro.

L’espansione della domanda di istruzione della popolazione europea comporterà ovviamente dei costi crescenti, che potranno essere ripartiti in nuovi e innovativi modi tra i singoli beneficiari della maggiore istruzione e la collettività. In entrambi i casi il consenso ad effettuare tale investimento, sia esso pubblico o privato, potrà derivare solo dalla constatazione che i rendimenti privati e collettivi dell’istruzione universitaria sono positivi e rilevanti, ovvero che il sistema economico nel suo complesso è in grado di utilizzare proficuamente il capitale umano prodotto dal sistema educativo.