Il pesce : carne quaresimale
Se gli antichi romani non disdegnavano di abbinare piatti di carne e pesce nello stesso menù, nel medioevo questo non poteva accadere perché forte era la distinzione tra giorni «di grasso» e giorni «di magro» che non erano solo i quaranta giorni della quaresima, ma anche quelli delle quaresime minori, ed ogni settimana il mercoledì, il venerdì e il sabato più le vigilie della festività principali. Questa ritmicità di grasso e magro caricava gli alimenti carne e pesce di una netta differenza nutrizionale, se nei giorni di penitenza si poteva consumare solo pesce logicamente esso assumeva la valenza di leggerezza, di poco nutriente o meno nutriente della carne,era il cibo del digiuno,era la carne quaresimale e conseguentemente sottostimato era il suo valore, subendo, possiamo dire, una caduta di immagine.
E poi quale pesce?
Nel medioevo il pesce di mare era una casualità, una sorpresa perché per settimane il mare poteva essere inagibile e quindi non si poteva pescare. All’incertezza della pesca bisogna aggiungere la precarietà della freschezza, i trasporti erano difficili per ore o giorni, risalendo fiumi o a dorso di mulo o di cavallo per raggiungere le città nell’entroterra dove il pesce piccolo (sardine o acciughe) giungeva malconcio ed inappetibile e il pesce di maggiori dimensioni subiva una “frollatura” perdendo di sapore. Difficoltà che comunque dovevano essere superate, perché la necessità di evitare la carne e i suoi derivati e nei giorni delle quaresime anche latticini e uova, sulle tavole dei poveri poteva essere supplita da minestre e verdure, ma sulle tavole dei signori non poteva mancare il pesce, tanto più che nei giorni «di magro» non erano vietati i banchetti. Così i cuochi delle mense dei potenti o delle taverne utilizzavano pesce di acqua dolce la cui cattura era programmabile permettendo di osservare la ferrea alternanza imposta dal calendario liturgico. Molto gettonato era lo storione ritenuto per lungo tempo carne fine ed adatta alla mensa dei signori, poiché si poteva trasportare viva anche l’anguilla ebbe molta fortuna e poi tinche e carpe che potevano vivere nelle peschiere di principi, monasteri, ma anche di borghesi e mugnai che utilizzavano i loro mulini ad acqua.
Una verifica di tutto ciò la possiamo avere sfogliando i ricettari del tempo che, tenendo ben separate le ricette sulla carne da quelle sui pesci, rispettavano anch’essi l’alternanza grasso-magro e dove ci accorgiamo che i pesci di lago, di fiume sono i protagonisti quasi incontrastati di questa letteratura culinaria.
Ciò non toglie che il ricco, nobile, signore non apprezzasse e desiderasse il pesce di mare ed era a volte disposto a pagare anche venti volte il valore della carne per assicurarsi un pesce grande, bianco, di scaglia (branzino, orata, sogliola) più difficile da catturare rispetto al pesce piccolo (acciughe, sardine) pescato in maggior quantità e considerato il pesce dei poveri.
Reperibilità e conservazione era il binomio che preoccupava i cuochi delle case signorili, ma soprattutto delle taverne dove la consumazione era incerta e si dovevano realizzare piatti velocemente quindi con prodotti conservati. E allora sotto sale, in marinata, in scapece erano i metodi utilizzati per la conservazione anche del pesce e dato l’obbligo di mangiar pesce frequentemente i cuochi sapevano variare le modalità di cottura trasformarli in brodetti, arrosti, torte salate, pasticci e usavano le stesse salse delle carni vivacizzandole con succo di frutta e spezie per mascherare la freddezza di questa “carne di quaresima”.
La simbologia del pesce esula dal contesto culinario e forse è una delle immagini più diffuse nell’ambito delle antiche religioni legata all’amore e alla fertilità. Nella cultura occidentale in particolare quella cristiana ha una forte valenza con il Cristo. Il termine greco Ichthỳs (pesce) è considerato acrostico delle parole Iesoữs Cristós Theoữ Hyiós Sotèr : ”Gesù Cristo Salvatore Figlio di Dio”. L’immagine del pesce diventa segno di riconoscimento dei primi cristiani e lo ritrova inciso sulle lampade, sui sigilli rinvenuti nelle catacombe e ha finito per rappresentare Cristo stesso.