Scavare nel passato per guardare al futuro
Gisella Cantino, occhi vivaci color fiordaliso e chioma d’argento, stile sportivo e un fisico invidiabile, innamorata dell’archeologia e appassionata docente, è tra i fondatori della Facoltà di lettere di Vercelli e ancora oggi, alle soglie della pensione, ne sostiene con fermezza la presenza sul territorio, nonostante le tocchi fare la pendolare da Torino come la maggior parte dei suoi colleghi. «Manca l’opportunità di radicarsi qui e partecipare alla vita culturale cittadina – si rammarica – Io, per esempio, amo i concerti e la stagione musicale vercellese mi attira molto, ma il rientro a tarda ora con il treno è impossibile e questo impedisce, rallenta, limita il processo di integrazione. Per non parlare della pendolarità studentesca: i ragazzi che frequentano la Facoltà di lettere non scelgono Vercelli come habitat usuale, ma vivono l’università come un percorso di formazione che si realizza appoggiandosi alla famiglia. Negli Stati Uniti si entra al college di un’altra città. Tanto più se si tratta dei figli di docenti: è l’abitudine a una vita autonoma fin da giovani. Certo le difficoltà economiche possono incidere sulla residenzialità, ma il fatto è che per noi italiani l’università è una continuazione della scuola secondaria e sono realmente pochi i ragazzi che scelgono di trasferirsi. All’Upo abbiamo alcuni neo laureati che vanno all’estero o in altre sedi italiane per frequentare corsi di specializzazione e dottorati di ricerca. La considero un’esperienza decisamente positiva. Il numero di chi è disposto a mettersi in gioco lontano da casa è però ancora esiguo. La situazione odierna è peggiore di quella degli anni sessanta…». Gisella Cantino ha viaggiato molto per lavoro e per studio: il suo orizzonte è ampio e colorato. Abituata com’è a scavare con tenace, paziente delicatezza, si rivela concreta e determinata. Vanta inoltre un elenco chilometrico di pubblicazioni a livello internazionale. Il futuro dell’ateneo vercellese continua a starle a cuore così come gli sbocchi occupazionali di chi ama le facoltà umanistiche, indissolubilmente legate a uomini e donne di ogni tempo. «In Usa il precariato è normale, inteso come “mobilità”; nel sistema italiano, un po’ sclerotico, equivale invece a instabilità e si guarda ancora al “lavoro sicuro”. Certo non bisogna sottovalutare il vantaggio di uno stipendio fisso, che a me ha consentito di optare anche per scelte meno “ovvie”, ma non deve significare immobilismo». Scaviamo con lei, questa volta nel recente passato, risalendo agli esordi dell’Upo. «Nel 1991-92 la Facoltà di lettere dell’Università di Torino cominciò a tenere a Vercelli corsi seminariali “distaccati”, che gli studenti potevano frequentare sostenendo poi gli esami nel capoluogo regionale. Erano le discipline dei docenti disposti a viaggiare e la richiesta era fortemente orientata verso scienze della comunicazione e beni culturali. Per quanto mi riguarda, sono sempre disponibile a parlare di archeologia: ho avuto la fortuna di lavorare nel settore che più mi appassiona, ancora oggi», sottolinea sorridendo Gisella Cantino e basta guardarla per capire che sarà così fino all’ultimo sassolino raccolto da lei, prima di passare definitivamente la paletta all’ennesimo ex allievo. «Nel 1992 fu aperta a Vercelli la seconda Facoltà di lettere dell’Università di Torino, in seguito a una disposizione ministeriale favorevole ai “distaccamenti”. Era l’inizio di quel movimento – oggi totalmente azzerato – che incoraggiava la nascita di nuove sedi per decongestionare i maggiori atenei italiani e il docente poteva chiedere di esservi inserito in ruolo. Lo feci. Una scelta piuttosto sconsiderata per me, con casa e famiglia a Torino e non più giovanissima… cominciai a fare la pendolare per due buone ragioni: la struttura alienante di Palazzo nuovo era diventata un peso e a Vercelli avrei potuto contribuire alla costruzione di qualcosa di nuovo. Era stimolante. Gli esordi sono stati duri, a partire dalla logistica: eravamo allocati al secondo piano di palazzo Tartara dove c’era ancora la Provincia e la biblioteca era situata al piano terra. Poi abbiamo realizzato le prime aule, a tempo di record, nell’edificio accanto alla stazione (dove un tempo si ritiravano i pacchi, ndr). Una sistemazione che oggi fa sorridere». Un’avventura da pionieri. «Infine si è avviato un discorso di insediamento su progetti edilizi in collaborazione con gli enti locali. L’idea, tuttora apprezzabile seppure economicamente pesante, era quella di sfruttare, nel senso più nobile del termine, una facoltà umanistica come lettere per il recupero di edifici storici disattivati, un patrimonio per la città che difficilmente avrebbe trovato una destinazione alternativa per problemi di costi e ridistribuzione funzionale. Un cammino, questo, che ho seguito passo per passo come presidente della commissione edilizia di Facoltà dal 1992 al 1999. Nel frattempo si aprirono le altre sedi del tripolo a Novara e Alessandria, allora tutte dipendenti da Torino. I successi ottenuti fecero sì che nel 1998 venissero accorpate nell’Università del Piemonte orientale, totalmente nuova e intitolata ad Amedeo Avogadro. A questo punto si sono collocate le strutture amministrative e di servizio che hanno reso superflua la commissione edilizia e l’Ateneo ha progressivamente sviluppato e incrementato le proprie strutture. Nel 1992 i docenti di ruolo erano 7, poi si è verificato un progressivo incremento e il cammino è andato espandendosi fino all’inizio del 2000. Pesa dirlo, ma senza soldi non si procede – sottolinea con un pizzico di amarezza Gisella Cantino – L’ampliamento costa ed è funzionale all’offerta didattica, all’esistenza di laboratori e biblioteche. Con la contrazione delle risorse sono iniziati i nostri problemi». Non si tratta di un pluralia maiestatis ma di un’appartenenza affettiva. «Abbiamo dovuto far fronte a difficoltà crescenti, all’impossibilità di incrementare il numero dei docenti, ai problemi degli studenti con le tasse di iscrizione in un frangente di benessere decisamente ridimensionato, per non dire in crisi. E quelli che hanno patito maggiormente sono stati due settori nuovi: scienze della comunicazione e beni culturali, varati con legge del 3+2, che ha molti difetti ma l’innegabile vantaggio di dare spazio a discipline “emarginate” dall’università tradizionale. Due indirizzi che hanno segnato fin dall’inizio il nostro percorso a Vercelli: pur non potendo contare su un numero ottimale di docenti, hanno ottenuto un riscontro di iscrizioni straordinario fino al 2006 e gli insegnanti hanno compiuto un lavoro eccellente. Poi le difficoltà conseguenti agli obblighi imposti dalla legge Gelmini e le risorse umane drasticamente ridotte non hanno consentito altro se non di limitare l’offerta ai tre corsi tradizionali, triennale e magistrale, con qualche piccolo problema anche per questi a causa delle diminuite iscrizioni». Non certo un calo fisiologico. «Dovuto certamente alla situazione congiunturale generale, ma anche al fatto che gli studenti interessati a beni culturali scelgono altre sedi – conferma Gisella Cantino, trattenendo a malapena un sospiro – La situazione è pesante anche perché in questo settore ci sono importanti lavori in corso a livello di ricerca. Una ricerca che deve sostanziare la didattica. Esistono progetti internazionali ben avviati, l’interesse degli studenti è forte e si coglie un riscontro positivo ben più vasto del solo territorio vercellese». Su cosa puntare a questo punto per colorare il futuro di arcobaleno? «Sulla qualità dell’insegnamento, sull’aggiornamento e su una prospettiva sopraregionale e sopranazionale – risponde senza esitazione – Non è più possibile pensare soltanto in termini di realtà locale. La mobilità nei Paesi europei vale in tutte le direzioni fortunatamente. Normalmente si afferma che i nostri cervelli fuggono all’estero… è vero anche per il settore beni culturali. Posso fare una lista di archeologi che lavorano in Francia. E questa è una realtà. Ma la libera circolazione segue pure il senso contrario: non si può guardare a un futuro senza concorrenza culturale in casa propria. E recuperare quell’entusiasmo che consente di suscitarne altrettanto nei giovani è forse la cosa più difficile. Comporta inoltre la coesistenza di un tessuto sociale che vanti la persona e non il suo peso economico o una malintesa gerarchia di dignità dei lavori». In settembre Gisella Cantino se ne andrà in pensione, ma siamo sicuri che un pezzettino di cuore resterà a Vercelli, sepolto chi sa dove tra le fondamenta di qualche antico edificio. Magari la cattedrale di S. Eusebio, che lei ha studiato a lungo. Un augurio? «Di proseguire il cammino traendo il meglio e il positivo dalla situazione in cui ci si trova ad operare e facendo fronte al negativo con ottimismo, coltivando la speranza in una inversione di tendenza. A livello generale, naturalmente, perché i finanziamenti sono fondamentali. Ma da soli non basterebbero».