Tarsia ” l’arte della geometria”
L’arte di accostare piccoli pezzi di legno di forma, essenza, colori diversi in modo da ottenere pregevoli decorazioni, veri mosaici di legno, è molto antica, praticata in Asia Minore, fu introdotta in Italia intorno al 300 d. C. ai tempi dell’ imperatore Costantino, il suo impiego però, la sua diffusione risale al 1300 ad opera degli intarsiatori senesi, i più richiesti per realizzare le decorazioni dei cori lignei, ma è tra la seconda metà del quattrocento e i primi decenni del cinquecento il suo momento di massima fioritura diventando un fenomeno centrale nel panorama artistico rinascimentale, da semplice decorazione la tarsia viene elevata rango di arte. Questo salto di qualità è legato all’affermarsi della teoria della prospettiva e la tarsia ne è stata un’ottima testimone. I panelli ad intarsio di epoca rinascimentale rappresentano vedute prospettiche: strade, complessi architettonici, oppure oggetti contenuti in armadi dagli sportelli semiaperti dando l’illusione di uno spazio tridimensionale. Gli intarsiatori sono chiamati “Maestri di prospettiva” e questa forma di arte si sviluppa quasi esclusivamente in Italia, a Firenze alla fine del quattrocento vi sono 84 botteghe in cui la si pratica. Il mecenate Giovanni Ruccellai nel suo “Zibaldone” l’antepone alla pittura come importanza considerandola una tra le eccellenze della sua Firenze e del suo tempo.
Effettivamente la tarsia era in quel momento la principale via di trasmissione della teoria della prospettiva poiché ben rappresentava le tre dimensioni su un piano: era una “arte geometrica” e a dimostrazione di ciò figure geometriche, solidi, soprattutto poliedri anche molto complessi come il “mazzocchio” sono frequentemente rappresentati nei pannelli intarsiati. E’ chiaro che gli intarsiatori dovevano conoscere molto bene la geometria applicata ed avere strumenti di misurazione molto precisi per il taglio e l’incastro dei pezzi di legno per riuscire a creare il loro trompe-l’-oeil e la presenza a volte di riga, squadra, compasso nelle opere sta a sottolineare questa loro capacità a mo’ di firma.
Ebano , cipresso, noce …ed da altri alberi si ricavano i numerosissimi pezzi di legno che gli intarsiatori, sulla base di un cartone o di un disegno preliminare, sceglievano per modellarli con precisione secondo la figura da rappresentare per poi sistemarli a incastro su un tavola di legno (noce solitamente) incollarli e verniciarli. Le diverse sfumature di colorazione erano ottenute dal colore naturale dei vari legni a disposizione, ma anche dal taglio e dall’inclinazione delle venature che facevano variare la rifrazione della luce. A volte però era necessario l’applicazione di colore e per toni più scuri la brunitura con il fuoco accentuando così i contrasti di colore e l’illusione di profondità. In alcuni casi stretta era la collaborazione tra intarsiatori e pittori, a volte molto celebri come Piero della Francesca, Botticelli, poiché erano quest’ultimi gli autori dei cartoni o dei disegni preliminari.
Questo tipo di arte era richiesta sia in ambito ecclesiastico per gli stalli dei cori, le spalliere, gli armadi delle sacrestie, sia nelle corti del tempo come ornamento di ambienti privati: biblioteche, studioli, noto quello di Federico da Montefeltro nel Palazzo ducale di Urbino e a Gubbio, questo ultimo conservato oggi al Metropolitan Museum a New York.
Libri, penne, calamai, strumenti musicali, strumenti per la misurazione del tempo e dello spazio, per la navigazione, armi, armature, ogni sorta di arredo liturgico, stavano ad indicare le attività e gli interessi dei committenti.
Oltre alle botteghe di Firenze molto quotata era quella dei fratelli Canozi di Lendinara che eseguirono importanti opere in molte città del Nord Italia, dalla scuola veneta proviene Fra Giovanni da Verona uno dei maestri intarsiatori più famosi a lui si devono le tarsie del Monastero di Monte Oliveto Maggiore e quelle della parte inferiore della Stanza della Segnatura, nei Musei Vaticani, oggi in parte rimosse tranne quattro pannelli sulla porta d’ingresso della Stanza.
Nella seconda metà del cinquecento il clima artistico era profondamente cambiato, il principio che la rappresentazione artistica dovesse appoggiarsi su basi matematiche fu fortemente contestato e declinò l’interesse per la prospettiva e gli studi di geometria ad essa strettamente collegati, così l’intarsio perse il suo potenziale artistico. Non mancarono i giudizi negativi e sprezzanti verso questa forma di arte in particolare dal Vasari che definiva l’intarsio l’opera di uomini dotati di molta pazienza e poca abilità e inoltre sottolineava che le tarsie erano costantemente minacciate dalla distruzione per mano di tarli e del fuoco. Si chiude così un capitolo dell’arte figurativa che per certi aspetti presenta una affinità estetica con il cubismo del novecento tanto che da alcuni studiosi è definito “il Cubismo del Rinascimentale” un cubismo ante litteram.