Ginkgo biloba: fossile vivente
In autunno la presenza di questa pianta nei giardini, nei viali di molte città, anche a Vercelli, la si percepisce a distanza per l’odore acre e nauseabondo emesso dalla copertura carnosa dei sui semi che giunti a maturazione cadano a suolo e ricoprono il terreno di questa polpa maleodorante, unico neo di un albero antico le cui prime testimonianze fossili risalgono a 250 milioni di anni (Paleozoico: Carbonifero superiore) trovate in Cina, sua terra d’origine. Ginkgo biloba è l’unica specie vivente non solo della famiglia Ginkgoaceae, ma anche del suo ordine di appartenenza e della classe e diversi sono gli appellativi con cui viene citata: fossile vivente, specie relitta, specie sacra, albero della vita.
Il confronto tra le piante di oggi e le loro antenate paleozoiche non mette in evidenza grandi differenze, sono molto simili per questo la specie è stata definita un fossile vivente, termine coniato da Charles Darwin per indicare quelle specie che mantengono i caratteri morfologici del loro taxon d’origine e sono quindi il risultato di una evoluzione molto lenta (braditelica). Se gettiamo un sguardo sulla distribuzione geografica delle ere passate di Ginkgo biloba notiamo che nel Mesozoico e nel Terziario inferiore il suo areale si estendeva a tutto l’emisfero settentrionale dal Nord America alla Asia, oggi è presente, in modo spontaneo, solo in alcune zone della Cina sud-orientale. Millenaria è la tradizione dei monaci buddisti di coltivarla nei giardini dei loro templi perché ritenuta una pianta sacra. Millenario è anche il suo impiego come pianta medicinale in Cina, da circa tre secoli utilizzata a scopo terapeutico anche in occidente e da alcuni decenni è oggetto di ricerca scientifica. Così l’appellativo ”albero della vita” è legato a questo suo impiego soprattutto in geriatria e forse anche alla sua storia millenaria.
Molte le qualità: è una pianta longeva può raggiungere mille anni di vita, resiste alla siccità e sopporta basse temperature fino a -34° C, non subisce danni dall’inquinamento atmosferico, in Giappone è ancora vivente un esemplare sopravissuto alle radiazioni della bomba atomica sganciata su Hiroshima, non è attaccata da parassiti e probabilmente il motivo va ricercato nelle sostanze presenti nelle foglie. Per queste capacità è spesso scelta come pianta ornamentale nelle alberature cittadine visto che bene sopporta le difficili condizioni di un ambiente urbano.
Pianta dioica: cioè con i sessi separati perché esistono piante maschili e piante femminili quest’ultime sono le portatrici di quei semi carnosi di colore arancio e di dimensioni come una oliva che giunti a maturazione producono quell’odore acre di burro rancido e per questo si cercano sempre individui maschili per le alberature cittadine onde evitare questo inconveniente.
Da un punto di vista etimologico il nome generico Ginkgo è un errore di ortografia perché la corretta traduzione dei caratteri cinesi utilizzati per indicare questa pianta è Gynkyo. L’errore è da imputare al botanico tedesco Kampfer che nel 1712, al ritorno da un suo viaggio in Estremo Oriente, nel descrivere la bellezza di alcuni alberi sacri coltivati dai monaci buddisti nei giardini dei loro monasteri li denomina Ginkgo, successivamente Linneo, nel classificare questa specie nel suo Sistema Naturae, mantiene la denominazione di Kampfer, benché si fosse accorto dell’errore, ma ormai questa pianta era nota a tutti come Ginkgo.
Se il nome generico Ginkgo deriva dai termini cinesi yin che significa argento e xing che significa albicocca riferiti alla forma e al colore dei semi, il nome specifico biloba è legato alla forma delle foglie simile ad un ventaglio che nelle piante più vecchie appaiono profondamente divise in due lobi e in autunno il loro colore muta da un verde intenso ad un giallo ambra di notevole impatto.