Peperone…e peperoncino
Come è successo per molte piante originarie del centro e del sud America anche il peperone ed il peperoncino sono giunti in Europa dopo la scoperta dell’America. I reperti archeologici ci testimoniano che già nel 7000 a.C. questi frutti erano conosciuti in Messico e dal 5500 a.C. erano piante coltivate abitualmente dalle popolazioni indigene del nuovo continente. Nel suo diario Cristoforo Colombo racconta che i suoi uomini avevano trovato molti aji ( una varietà di peperoncino aromatico) che gli indigeni utilizzavano come fosse pepe e chi riusciva a sopportarne il sapore, assai forte, lo consumava come una pietanza. Comunque sottolinea Colombo nessuno lì mangiava senza il condimento di questo aroma e fu il biologo e medico di bordo Diego Alvarez Chanca di Siviglia, che partecipò alla seconda spedizione, a portare in Europa questi ortaggi, nel 1493.
Il peperoncino fu subito considerata una spezia e per il suo pizzicore era in concorrenza con il pepe. Poiché si acclimatò benissimo nel vecchio continente ed era dappertutto facilmente coltivabile era anche alla portata di chiunque, per questo fu considerato la spezia dei poveri e snobbato, nonostante fosse una novità esotica, dai signori che continuarono a preferirle il pepe anche se il suo pizzicore fosse maggiore e di conseguenza si pensava che fosse anche più efficace, ma il fatto che il peperoncino non costava altro che seminarlo, mentre le spezie che venivano dall’oriente costavano molti ducati faceva la differenza. Per il suo potere piccante fu soggetto a pregiudizi morali perché si era diffusa la credenza che gli effetti eccitanti fossero provocati da potenze diaboliche e non dalla pianta di qui il termine diavolicchio rimasto in uso, ancora oggi, in diversi dialetti dell’Italia meridionale.
Il peperone invece come verdura ha conosciuto più resistenze del suo parente prossimo peperoncino anche in questo caso la facile coltivazione lo rende un ortaggio rustico e volgare e fa fatica ad affermarsi come cibo nei ricettari. Sappiamo però che peperoni sott’aceto preparati da un oste veronese nel 1800 sono giunti sulla mensa del re di Napoli, dell’imperatore d’Austria e di Napoleone.
La causa del sapore piccante di questi ortaggi è la capsaicina un alcaloide contenuto nelle nervature interne e membranacee di colore bianco. La sensazione di calore, il sentire il fuoco in bocca non significa che sia aumentata la temperatura della mucosa boccale, ma semplicemente la capsaicina stimola i termorecettori che si attivano per temperature tra i 45°C e i 52°C segnalandole al cervello che reagisce con il senso di bruciore, ma in questo caso per temperature virtuali. Naturalmente se consumata in eccesso la capsaicina può provocare vesciche da ustioni e per questo la raccolta dei peperoncini delle varietà più piccanti come habanero si effettua con i guanti. La capsaicina è il componente base dello spray al peperoncino usata come arma non letale.
Esistono diversi metodi per misurare la concentrazione di questo alcaloide nei peperoni e peperoncini, il primo ed il più noto è la scala di Scoville che prende il nome dal suo ideatore il chimico Wilbur Scoville che la mise a punto nel 1912 e consiste nel misurare il grado di diluizione in acqua e zucchero necessario affinché non sia più possibile percepire la piccantezza dell’estratto di peperoncino che si vuole analizzare il tutto viene testato da cinque assaggiatori addestrati all’analisi sensoriale della capsaicina. Il punto debole di questo metodo è la dipendenza dalla sensibilità dell’uomo. Oggi si misura direttamente la quantità di capsaicina contenuta nel peperoncino,senza la mediazione umana, con il test HPLC (High performance liquid chromatography o “Metodo Gillette” ), ma i risultati vengono convertiti nella scala Scoville.
Da un punto di vista botanico perone e peperoncino sono frutti o più precisamente bacche, appartenenti alla famiglia Solanacae al genere Caspicum termine quest’ultimo secondo alcuni di derivazione latina da “capsa” cioè scatola per la particolare forma delle bacche che ricordano una scatola con all’interno i semi, secondo altri dal greco “kapto” che significa mordere con evidente riferimento al potere piccante che aggredisce le mucose quando li si consuma.
Verdi, rossi, gialli, neri sono bacche ricche di vitamina C e proprio analizzando anche la paprika il medico ungherese Albert Szent-György ha isolato la vitamina C ottenendo nel 1937 il premio Nobel per la medicina e fisiologia. Molte le proprietà di questi frutti che hanno un ruolo primario nella cucina di tanti paesi. In Italia il regno del peperoncino è la Calabria dove si conserva in coroncine, vera e propria icona della regione. Viene impiegato nei piatti di carne nelle zuppe di pesce,nei formaggi (ricotta e pecorino), ma soprattutto nei salumi definiti “sublimi” da Giacomo Casanova nelle sue memorie di un viaggio in Calabria nel 1743 e infatti come non pensare alla ‘nduja dove il rapporto carne (lardo e pancetta) e peperoncino è di uno a cinque. Per dolce il cioccolato al peperoncino di Modica (Sicilia) proprio come facevano gli Aztechi che prima della battaglia consumavano una bevanda propiziatoria ottenuta mescolando questi due stimolanti: cioccolato e peperoncino.