La storia del menù
Legato ad un cambiamento epocale nel modo di servire a tavola il menù nasce come una necessità agli inizi dell’ ottocento quando dal “servizio alla francese” dove tutte le portate erano presenti contemporaneamente sulla tavola si passa al “servizio alla russa” dove i piatti vengono serviti direttamente dai camerieri in una studiata, ordinata sequenza. I commensali perdono così la visione completa ed immediata dell’intero pranzo per questo si rende necessaria un’informazione scritta rappresentata appunto dal menù dove riportando la successione delle portate si da loro la possibilità di informarsi sulla composizione del banchetto, scegliere e “regolare il loro appetito”.
Anche se già alla fine del settecento alcuni famosi ristoranti parigini presentavano ai loro clienti le riproduzioni ridotte della “carta” affissa alla porta il vero battesimo del menù lo si deve al principe russo Alessandro Boris Kourakin ambasciatore dello Zar di Russia a Parigi che nel 1810 nella sua residenza di Clichy vicino alla capitale introduce questo nuovo modo di servire a tavola “alla russa” appunto. Una novità inizialmente poco gradita ai cuochi che pur abituati alla lista delle vivande furono costretti ad industriarsi a codificare e a trovare il giusto equilibrio nella sequenza delle portate, ma subito adottata con piacere dalla diplomazia ed aristocrazia internazionale e a Parigi fu subito tendenza.
Così tra le piccole stampe dopo gli inviti, le partecipazioni, i programmi di rappresentazioni fa la sua comparsa il menù un cartoncino interessante non solo per il contenuto gastronomico ma anche nell’aspetto. Il programma del banchetto non è solo un elenco delle vivande incolonnate, ma può essere ornato da stemmi, simboli, immagini che celebrano la casata di chi invita oppure il ristorante o l’occasione del convivio. I primi menù riportavano il mero elenco delle portate, ma successivamente viene inserita anche la lista dei vini e se era previsto un intrattenimento musicale anche i titoli dei brani che saranno eseguiti. Per questo pittori, illustratori, incisori, caricaturisti, litografici si sono interessati della grafica e dell’estetica del menù tanto da renderlo attraente e piacevole da conservare come un ricordo magari con l’autografo e perché no con dedica di un invitato famoso presente al convivio.
Souvenir, ma anche prezioso pezzo da collezione e la raccolta di menù (4700 esemplari ) di Livio Cerini di Castegnate, Accademico della Cucina e di sua moglie Wilma, oggi conservata presso l’Academia Barilla, ne è un esempio concreto che permette di leggere attraverso questi cartoncini i gusti gastronomici e la loro evoluzione nel tempo, ma anche le abitudini conviviali, le mode artistiche che hanno lasciato traccia sulla grafica del menù.
Possiamo seguire l’evoluzione del primo piatto che per tutto l’ottocento è sempre una minestra in brodo (potage, consommé) una consuetudine che troviamo nei pranzi di gala di re ed imperatori e se andiamo a consultare i menù dei pranzi ufficiali dei Presidenti della Repubblica italiana ( i menù del Quirinale) sovente il consommé in tazza o la vellutina, piuttosto che il ristretto in tazza o un brodo vegetale sono ancora oggi la prima portata del pranzo. La pasta asciutta come primo piatto faticherà a conquistare questa posizione, è piatto di apertura nei menù della festa nella prima metà del novecento soprattutto in ambienti borghesi o popolari.
Possiamo ripercorre la storia rileggendo i cosiddetti menù storici redatti per commemorare battaglie, in onore di un personaggio politico, per l’inaugurazione delle fiere internazionali o l’apertura del traforo del Sempione ma senza dubbio uno tra i più significativi ed antichi in Italia è quello per il pranzo servito il 1 marzo del 1848 per festeggiare la promulgazione dello Statuto Albertino e come si legge nell’intestazione “ Un pranzo alla russa di 50 coperti data dal Corpo Decuriale della città di Torino” .
Possiamo rivivere gli avvenimenti privati delle famiglie: nozze, battesimi, anniversari a venticinque, cinquanta, sessanta anni dal primo sì e i menù ne sono i testimoni silenziosi, ma preziosi.
Per tutto l’ottocento questa offerta di piatti che il commensale poteva studiare era redatta in francese, la lingua d’origine della parola menù, e solo agli inizi del novecento (nel gennaio del 1908) per ordine del re Vittorio Emanuele III sarà utilizzato l’italiano per indicare i termini in cucina e la parola menù sostituita da lista, distinta.
Con accento o senza accento alla francese il menù è una attestazione della storia non solo gastronomica ma anche sociale.