Giuggiole ” frutti dimenticati “
“Andare in brodo di giuggiole” è un’espressione, un modo di dire per indicare uno stato di gioia, un uscire di sé dalla contentezza, andare in visibilio per qualcosa. Il brodo di giuggiole infatti è un liquore, un antico distillato che veniva offerto soprattutto dai contadini agli ospiti di riguardo o ai padroni come una prelibatezza per la sua dolcezza. Le protagoniste di tutto ciò sono le giuggiole cioè i frutti di Ziziphus jujuba Miller una pianta appartenente alla famiglia delle Rhamnaceae originaria del Medio Oriente probabilmente della Siria e che presenta un ampio areale di distribuzione: dalla Cina alla Spagna. In Italia è stata introdotta in epoca romana nel I secolo d. C., ma nell’area mediterranea era già conosciuta da alcuni secoli dagli Egizi, dai Fenici dai Greci. Erodoto, lo storico greco, nelle “Storie” cita le giuggiole paragonandole ai datteri per la loro dolcezza e precisa che dalla fermentazione della loro polpa si ottiene un vino inebriante conosciuto anche dagli Egizi e dai Fenici. Diversi autori hanno identificato il frutto del loto citato da Omero nel IX libro dell’Odissea, quando Ulisse e i suoi uomini approdano all’isola dei Lotofagi, e responsabile di provocare amnesia nei compagni dell’eroe che ne hanno fatto uso, come il frutto di Ziziphus loto da noi conosciuto come giuggiolo selvatico.
Zizzola, zinzuli, scicula molti i nomi dialettali di questa piccolo albero che raggiunge mediamente l’altezza di 6 metri, dall’aspetto contorto con i rami irregolari e spinosi, le foglie piccole ovate, lucenti e coriacee, i fiori piccoli di un giallo verdastro, tutto sommato di bel aspetto e a volte usato come pianta ornamentale nei giardini, nella campagna romagnola, poiché lo si considerava una pianta porta fortuna, in molte case coloniche era posto a ridosso della parete più esposta al sole. I frutti (drupe) sono carnosi e simili a grosse olive di color ruggine o marrone scuro quando sono maturi e presentano una polpa biancastra dal sapore dolciastro tanto da paragonarli ai datteri e sono infatti noti anche come “datteri cinesi”. E’ una pianta che si sviluppa in zone a clima temperato in Italia nelle zone centro meridionali, ma anche in particolari microclimi come in prossimità di laghi e di colline ben esposte ne sono esempio i Colli Euganei dove ad Arquà Petrarca la prima e la seconda domenica di ottobre si svolge la festa delle giuggiole in coincidenza con il periodo della loro maturazione. Pianta e frutti conosciuti ed ammirati da Francesco Petrarca quando giunse in questa cittadina, Arquà, scelta come ultima sua dimora.
L’uso alimentare di questi frutti minori è molteplice si possono consumare al naturale freschi o secchi, ma soprattutto sono utilizzati per preparare marmellate, confetture, gelatine, liquori e possono essere conservate sotto grappa, ma anche in salamoia.
L’uso medicinale è meno frequente in Italia, appartengono ormai ai frutti dimenticati, ma è molto frequente in Oriente soprattutto in Cina, dove è coltivato da oltre 4000 anni, e dove oltre ai frutti vengono utilizzate in campo medico anche i semi e le radici. Ricca di vitamina C diverse sono le proprietà terapeutiche di questa pianta che nella medicina popolare, soprattutto nei paesi arabi era considerata uno dei quattro “frutti pettorali” insieme ai fichi, ai datteri, all’uva sultanina e per questo usata per decotti ed infusi emollienti per curare i sintomi da raffreddamento e le infiammazioni delle vie respiratorie.
In certe zone del veneto le giuggiole erano usate dalle donne “a filò” che avendo continuamente bisogno di saliva per umettare le dita e tirare il filo da avvolgere le utilizzavano come caramelle per produrre saliva.