Formaggio in tavola
Si ritiene che il formaggio abbia avuto origine nell’Asia sud occidentale circa 8000 anni fa e questo può essere confermato dal fatto che moltissimi individui di popolazioni dei paesi caldi perdono fin dalla prima adolescenza la capacità di digerire il latte quindi, non potendo rinunciare al calcio, lo assumono sotto forma di formaggio o yogurt e un tempo in assenza di frigoriferi era anche il modo migliore per conservare il latte.
Durante l’impero romano furono incoraggiati ed incentivati miglioramenti tecnologici per il processo di caseificazione introducendo la produzione di nuove qualità. L’attenzione che i Romani dimostrarono verso questo alimento, diffondendolo nel loro impero, ebbe anche riflessi etimologici perché la radice della parola formaggio in diverse lingue moderne deriva dal latino caseus.
Anche se in teoria il latte di tutti i mammiferi può essere trasformato in formaggio, è evidente che l’uomo ha scelto per produrlo animali in grado di fornire una grande quantità di latte. Negli Stati Uniti alla Carnell University di Ithaca hanno messo a punto una macchina per la mungitura delle cavie, ma non è stato possibile produrre formaggio perché il numero necessario di questi piccoli mammiferi per avere latte sufficiente a riempire una vasca di caseificazione è così grande da rendere impossibile l’esperimento.
La geografia del formaggio ci racconta quali allevamenti si possono utilizzare nelle varie parti del mondo per la sua produzione: latte di yak, di cammello, di lama, di renna, di bufalo ed in Europa, da sempre, di ovini, caprini, bovini. L’umanista Bartolomeo Sacchi detto il Platina nel “ Il piacere onesto e la buona salute” stila una graduatoria tra i formaggi considerando ottimi quelli di capra, secondi quelli di pecora, terzi quelli di mucca, infatti la quantità di acido capronico, caprilico e caprinico contenuti nel grasso del latte di capra è maggiore rispetto all’altro latte e questo rende i suoi formaggi più piccanti ed aromatici.
Anche se nel medioevo da un punto di vista medico il formaggio era visto con sospetto e consigliato a piccole dosi in molti trattati di cucina lo si elogiava confermando la sua presenza sulle tavole dei signori. Nel cinquecento Ercole Bentivoglio gli dedica una lunga serie di terzine definendolo il primo nutrimento per l’uomo che sarà gagliardo se lo consuma. Sulla letteratura di questo alimento non possiamo dimenticare la “Summa Lacticinorum” di Pantaleo De Conflencia, un trattato sul latte e i suoi derivati, pietra miliare per la cultura casearia europea pubblicata nel 1477, dove l’autore tra i formaggi migliori cita il marzolino (pecorino prodotto in Toscana nel mese di marzo) e il piacentino o parmigiano prodotto anche nel territorio di Milano, Pavia, Novara e Vercelli, terze sono segnalate le robiole delle Langhe e della Lomellina fatte generalmente con latte di pecora, ma a volte anche mischiandolo con latte di vaccino, cosa nuova per quei tempi.
Logicamente in passato i formaggi freschi potevano aver un mercato locale perché non si era in grado di conservarne la freschezza per un lungo trasporto, mentre lo potevano i formaggi stagionati. Così le città portuali come Genova erano un grande emporio dove arrivano e partivano formaggi di tutto il Mediterraneo dai formaggi al pepe di Sicilia a quelli di Maiorca, ai pecorini della Sardegna e della Corsica e i bassi costi di nolo li rendevano competitivi rispetto al parmigiano più costoso perché doveva attraversare l’Appennino a dorso di mulo.
Processo base per ottenere formaggio è la coagulazione del latte tramite il caglio o meglio il suo enzima la chimosina, però già nel seicento la sapienza popolare suggeriva di sostituire il caglio di origine animale con foglie di ortica, fiori di cardo selvatico, “barbe” del cuore del carciofo. Oggi i biochimici con le loro ricerche in tale direzione hanno scoperto che effettivamente enzimi vegetali sono in grado di cagliare il latte in particolare quelli estratti dai fiori di cardo e recentemente anche dai fiori di carciofo e l’industria casearia li utilizza per ottenere formaggi con gusto e consistenza diversi rispetto a quelli prodotti con il caglio.
Batteri e funghi sono i microrganismi che svolgono un importante ruolo nella maturazione del formaggio e raggiungono una delle concentrazioni più elevate che si sia mai riscontrata in un alimento di base. Nel primo giorno di lavorazione se ne contano da 1 a 2 miliardi per 1 gr di materiale quantità stratosferiche in seguito per assenza di ossigeno ed innalzamento dell’acidità e la presenza di composti ad azione inibitrice la popolazione microbiotica diminuisce. Tra questi batteri c’è il responsabile della porosità del formaggio il Propionibacterium freudenreichii che produce anidride carbonica essenziale per la comparsa di quella occhiatura che può raggiungere le dimensioni di cavità tipiche dell’ Emmenthal ed è sempre un batterio il Penicillium roqueforti l’artefice di quelle venature blu che si osservano in diversi formaggi come il Roquefort francese.