Pietro Masoero, “il principe dei fotografi” (1863-1934)
Nato ad Alessandria nel 1863, per volontà del padre diventava apprendista presso un fabbro, ma, seguendo la sua inclinazione artistica, alla sera seguiva un corso di disegno; a 17 anni si trasferiva a Vercelli, dove trovava un lavoro più adatto a lui nel famoso studio fotografico Castellani, che aveva sede nel Palazzo Pasta di via Duomo. Per le sue doti si faceva subito apprezzare al punto che, alla morte di uno dei titolari, era nominato direttore di quello studio, che però lasciava nel 1892 per aprirne uno tutto suo. A questo scopo sceglieva l’ appartamento della casa, allora di proprietà Tricerri, che occupava l’intera parte del piano terreno dell’edificio a sinistra del portone di ingresso e si affacciava su largo D’Azzo e su via Bazzi. Lo stabilimento fotografico, come si diceva allora, comprendeva una galleria con grandi vetrate verso il giardino interno, che permettevano di utilizzare la luce naturale, dove il cliente si metteva in posa e, per rendere particolare il proprio ritratto, trovava una vasta scelta di suppellettili e di sfondi dipinti da Francesco Bosso. Lo studio era dotato delle più moderne attrezzature, perché Masoero era sempre all’avanguardia in un’epoca che conosceva il rapido progresso della tecnica, per cui i suoi risultati erano sempre innovativi. Un ruolo speciale aveva poi una vetrina su largo d’Azzo utilizzata per esporre le fotografie, ma per questa efficace forma di pubblicità egli disponeva di una vetrina ancora più importante, perchè si trovava nel centro cittadino, sotto i portici di Piazza Cavour. Così erano molti i passanti che si fermavano a guardare i frequenti cambiamenti di fotografie realizzate in studio o delle più moderne istantanee, attratti dalla varietà dei soggetti, che potevano essere bambini e adulti, ma anche gruppi o cantanti lirici allora famosi. Grazie alla bravura tecnica e alla sensibilità artistica Masoero diventava molto noto e partecipava con successo a vari Concorsi non solo in Italia ma anche all’estero, come succedeva ad esempio nel 1893, quando a Ginevra presentava alcune fotografie di vercellesi.
Il suo impegno andava però al di là di quello di fine ritrattista, in quanto si preoccupava di riprodurre le opere d’arte, che costituiscono il prezioso patrimonio di Vercelli, e di farle conoscere fuori città. Infatti fotografava la basilica di Sant’Andrea e per coglierne i particolari architettonici si serviva di un teleobiettivo, costruito dall’ amico casalese e fotografo dilettante avv. Francesco Negri. Queste fotografie erano poi pubblicate in un’opera storica di grande valore con l’intento di contribuire in questo modo a valorizzare l’arte sacra. La fotografia come forma di studio della produzione artistica locale diventava per lui argomento di conferenze, con le quali divulgava l’alta qualità della Scuola pittorica vercellese non solo in città ma anche a Torino e a Firenze, dove egli poteva tra l’altro contare sull’amicizia dei fotografi Alinari. Inoltre dava un particolare risalto a Gaudenzio Ferrari, proiettando quasi una trentina di riproduzioni dei quadri del pittore, durante il Congresso internazionale di Fotografia, nel quale rappresentava la Società fotografica italiana, tenutosi nell’ ambito dell’Esposizione mondiale del 1900 a Parigi.
Un’attenzione particolare era da lui rivolta ai sempre più numerosi dilettanti, per i quali scriveva “Il decalogo del dilettante fotografo” nel 1901, anzi l’anno successivo presentava in una serata di beneficenza al Teatro Civico le “proiezioni luminose” delle opere dei dilettanti vercellesi, che avevano potuto utilizzare il suo studio per prepararle. Questi fotografi erano più di trenta, comprese alcune donne, che avevano scelto soggetti molto diversi, rivelando così la varietà dei loro interessi. Erano infatti proiettate le “Vedute di Venezia” della signora Ciocca Bergamasco, il “Primo sole” della signorina Barbera, il “Meriggio in montagna” della signorina Bodo e gli “Studi di figure artistiche” della figlia di Masoero, Nerina.
Sempre aggiornato sulle ultime novità, nel 1908 Masoero ricorreva all’uso delle autocromie, quelle lastre fotografiche a colori su vetro che i fratelli Lumière avevano iniziato a commercializzare l’anno prima, ottenendo interessanti fotografie che erano poi proiettate nel Congresso Storico Subalpino, tenutosi proprio a Vercelli nel 1910.
Masoero non era solo un fotografo e un appassionato cultore del patrimonio artistico di Vercelli, perché si occupava anche dell’amministrazione cittadina, diventando tra l’altro assessore all’istruzione, e partecipava alle iniziative di varie associazioni e di molte opere di beneficenza. Giornalista e autore di pubblicazioni, Masoero era anche desideroso che si insegnasse la fotografia ai giovani e aveva quindi ideato il progetto di una Scuola superiore di fotografia, che aveva presentato a un Congresso della Società fotografica italiana a Torino nel 1896. Infine legava il suo nome al mondo scolastico vercellese, promuovendo l’insegnamento del “VolapüK” , una lingua universale inventata dall’abate Schleyer, poi la “Scuola sociale filologica” e infine la “Scuola professionale e filologica << Geom. Francesco Borgogna>>”, della quale era il primo Presidente.