“A ciascuno il suo”: il caso di Delfino Alciati.
All’inizio del Novecento Delfino Alciati, oltre a realizzare opere artistiche in parte esposte nelle vetrine di Vercelli, aveva preparato i disegni per la bijouterie, quindi per i gioielli fantasia, e per la filigrana, che gli erano stati richiesti nel 1904 dalla Regia Scuola filologica e professionale Borgogna, quando per avviare la Scuola di Oreficeria aveva deciso di allestire un’aula specifica per il disegno industriale e per la plastica. Perciò i futuri insegnanti delle due materie, Delfino Alciati e lo scultore Francesco Porzio, dovevano preparare disegni e modelli adatti ad allievi che erano molto diversi tra loro, in quanto alcuni erano operai già adulti e desiderosi di specializzarsi ma altri erano ragazzi ancora impreparati e alla ricerca di occupazione nelle numerose ditte di oreficeria e argenteria da tempo attive in città. Alciati aveva ideato, in base ai suoi orientamenti artistici, tutta una serie di disegni moderni per oggetti rispondenti alle esigenze del mercato e perciò facilmente vendibili, anche se non aveva trascurato le composizioni negli stili tradizionali. Si deve però notare che in seguito questo insegnante innovatore avrebbe tenuto lezione anche all’esterno dell’aula apposita, utilizzando il giardino della Scuola Borgogna, perché era convinto del fatto che grazie al suo metodo gli allievi avrebbero imparato a osservare la natura e a cogliere i dettagli di rami, di foglie o di pietre, rendendo di conseguenza sempre più originali i loro disegni ispirati allo stile liberty.
Nel frattempo Alciati aveva continuato a dare lezione nello studio che aveva aperto in città, anzi si era detto anche disponibile a insegnare a domicilio “il disegno ornamentale applicato all’ industria”, come aveva specificato per gli eventuali interessati nell’ annuncio pubblicitario, che era stato ripetuto più volte su alcuni giornali locali.
A questo punto della sua vita professionale era ormai venuto il momento per lui di ottenere incarichi di lavoro da parte di privati e la prima opportunità di grande rilievo gli si era presentata con la pubblicazione nel 1907 del libro ” L’Abbazia di S. Andrea di Vercelli”. L’opera era particolarmente significativa e valorizzava il S. Andrea sotto vari aspetti, in quanto univa allo studio storico di Romualdo Pastè quello artistico di Federico Arborio Mella e la documentazione fotografica d’eccezione di Pietro Masoero. Gli editori, i vercellesi Gallardi e Ugo, consapevoli della validità del volume, avevano pensato di donare la prima copia al Re Vittorio Emanuele III, facendola rilegare sul disegno che avevano deciso di affidare proprio ad Alciati.
Così il professore aveva preparato alcuni fregi, traendone i motivi dalla Basilica, che in seguito l’antica ditta torinese di Vezzosi, già Savoretti e Borgioli, incaricata della rilegatura in cuoio bulinato, avrebbe reso con grande precisione. Inoltre per il frontespizio del libro, il cosiddetto piatto anteriore, Alciati aveva ideato due targhe, costituite da lamine in argento vecchio, da lavorare a sbalzo e infine da posizionare una al di sopra del titolo dell’opera e l’altra nella parte sottostante. In realtà aveva ricavato il soggetto della prima targa dalla lunetta del portale sinistro del S. Andrea, nella quale è raffigurato il fondatore, il cardinale Guala Bicchieri, nell’ atto di presentare il progetto della chiesa al santo, al quale l’aveva dedicata; invece per il disegno della seconda si era rifatto allo stemma del cardinale, inserendolo tra due eleganti palme. A eseguire successivamente le targhe d’argento era stata la ditta dei fratelli Sambonet di Vercelli e in particolare dell’incisione si era occupato il loro operaio Giuseppe Martina, un vero artista che insegnava, come Alciati, nella Scuola di oreficeria. Dopo che la rilegatura era stata completata, il volume era stato esposto nel mese d’ aprile del 1908 proprio nelle vetrine del negozio Sambonet, situato davanti alla Chiesa del SS. Salvatore sull’attuale corso Libertà.
Era poi giunto il 28 maggio, giorno nel quale l’editore Ermenegildo Gallardi era stato ricevuto in udienza speciale dal Re nel Palazzo del Quirinale e gli aveva consegnato il dono, citando tutti coloro che avevano contribuito a realizzarlo. La stampa vercellese aveva dato risalto all’avvenimento, ma non aveva riportato i nomi degli artefici dell’opera o, se l’ aveva fatto, aveva dimenticato solo il nome di Delfino Alciati, e in questo caso aveva poi pubblicato l’ articolo di rettifica con l’abituale titolo, però in latino, di “ A ciascuno il suo ”. Del prezioso libro rilegato si parlava ancora tre anni dopo, quando nel periodo natalizio Gallardi, sul giornale “La Sesia” da lui diretto, aveva invitato i lettori ad acquistare, al prezzo di ben 65 lire l’una, le poche copie fatte ma non più riproducibili, che perciò non aveva esitato a definire regali e rare.
Nel 1909 Alciati aveva ricevuto l’incarico di un altro lavoro significativo da parte della Scuola nella quale insegnava, che aveva voluto esprimere in modo simbolico il doveroso ringraziamento nei confronti di uno dei suoi amministratori, l’avv. Francesco Borgogna. Infatti l’avvocato, seguendo la tradizione munifica della sua famiglia, aveva donato un terreno ampio più di 8000 mq. perché vi fosse costruita una sede, da tempo desiderata, che risultasse adatta alle sempre nuove esigenze e fosse di proprietà della stessa Scuola. Pertanto il Consiglio direttivo aveva deciso di offrire a Francesco Borgogna in segno di gratitudine una teca nella quale potesse essere custodita una pergamena, che avrebbe conservato nel tempo il lungo elenco delle firme di amministratori, di insegnanti e di studenti suddivisi nei vari corsi di studio.
Il compito di ideare la teca era stato affidato al prof. Alciati, il quale nel disegno, subito predisposto, aveva previsto dieci parti ornamentali in argento cesellato, un monogramma centrale con brillanti e infine varie pietre preziose. Allo scopo di mettere in risalto il fatto che la riconoscenza era generale, l’esecuzione del disegno era stata assegnata a numerosi allievi, ma l’abilità dei docenti aveva permesso di ottenere alla fine comunque un lavoro omogeneo. La custodia era rimasta esposta a lungo nelle vetrine del negozio Ferrero, situato sull’ odierno corso Libertà, prima di essere portata in
dono all’avv. Francesco Borgogna, unitamente a un prezioso cofanetto disegnato però da Giuseppe Martina. Infatti per la cerimonia di consegna dei doni, che aveva avuto luogo in forma privata, erano stati gli amministratori della Scuola a recarsi nella casa dell’avvocato, in quel Palazzo Borgogna che conserva intatto ancora oggi il suo artistico ingresso al n.15 di via Cagna. In seguito la teca artistica che Delfino Alciati aveva disegnato sarebbe stata presentata, con altre sue opere e con numerosi lavori di colleghi e di allievi, dalla Scuola Borgogna all’ Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro, aperta a Torino nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia.