Pompei raccontata da Goethe
Tra il 1700 e la prima metà dell’ 800 un viaggio in Italia per un intellettuale europeo o per i rampolli delle ricche famiglie era necessario per completare la propria preparazione culturale. Al Grand Tour, così è stato definito questo viaggio nel nostro paese, non si sottrasse neanche Goethe che nella sua opera: “ Viaggio in Italia “ riporta le sue impressioni sul paese e sulla gente più che una minuziosa descrizione dei luoghi visitati, il tutto mescolato a riflessioni sull’ arte e letteratura.
Sono gli anni in cui gli archeologi hanno riportato alla luce Pompei ed Ercolano, veri musei all’aperto che attraggono studiosi da tutta Europa compreso Goethe che si reca a Pompei con l’amico pittore Tischbein nel marzo del 1787 e scrive nel suo Viaggio in Italia:
“…. Mi sono recato con Tischbein a Pompei, ammirando a destra e a sinistra tutte quelle magnifiche viste già note a noi grazie ai pittori di paesaggi, e che ora ci si presentavano nel loro splendido insieme. Con la sua piccolezza ed angustia di spazio, Pompei è una sorpresa per qualunque visitatore: strade strette, ma diritte e fiancheggiate da marciapiedi, casette senza finestre, stanze riceventi luce dai cortili e dai loggiati attraverso le porte che vi si aprono: gli stessi pubblici edifici, la panchina presso la porta della città, il tempio e una villa nelle vicinanze, simili più a modellini e a case di bambola che a vere case. Ma tutto, stanze, corridoi, loggiati, è dipinto nei più vivaci colori: le pareti sono monocrome e hanno al centro una pittura eseguita alla perfezione, oggi però quasi sempre asportata; agli angoli e alle estremità, lievi e leggiadri arabeschi, da cui i svolgono graziose figure di bimbi e di ninfe, mentre in altri punti belve e animali domestici sbucano da grandi viluppi di fiori. E la desolazione che oggi si stende su una città sepolta dapprima da una pioggia di lapilli e di cenere, e poi saccheggiata dagli scavatori, pure attesta ancora il gusto artistico a la gioia di vivere d’un intero popolo, gusto e gioia di cui oggi nemmeno l’amatore più appassionato ha alcuna idea, né sentimento, né bisogno. “
La riscoperta di Pompei risale alla fine del 1500, ma solo nel 1748 sotto il regno di Carlo III di Borbone incominciò l’esplorazione sistematica della città che continuò per tutto l’ottocento fino agli interventi più recenti di scavo e restauro di sculture, architetture, pitture e mosaici. Pompei si estende per circa 66 ettari e ne sono stati scavati circa 45, è evidenti che Goethe ha visitato una minima parte della città sepolta dal Vesuvio ricevendo una sensazione riduttiva della antica Pompei restando però colpito dalle pitture e come non esserlo, a Pompei sono stati codificati i quattro stili della pittura dell’impero romano. E quel “ saccheggiata dagli scavatori “ è po’ eccessivo perché molti reperti, per ordine di Carlo III di Borbone, furono raccolti nel museo di Portici ed oggi si possono ammirare al Museo Nazionale di Napoli.
Goethe non è stato soltanto un poeta, uno scrittore, ma anche un uomo di scienza, si è interessato di botanica, di geologia e la sua descrizione di Pompei prosegue su questa ottica scrivendo :
“ E’ chiaro, se si pensa quanto dista la città dal Vesuvio, che la massa vulcanica seppellitrice non poté esser spinta fin qui da un’esplosione né da un turbine di vento; c’è da pensare piuttosto che lapilli e cenere abbiano volteggiato per un certo tempo a guisa di nuvole, finché si abbatterono sulla sventurata località. […] Ci detergemmo lo spirito dall’impressione straordinaria, e fino a un certo punto deprimente di quella città mummificata, consumando un frugale pasto sotto il pergolato d’una piccola osteria in riva al mare, deliziati dal cielo azzurro, dalle luci e dai bagliori marini, e nella speranza, il giorno che questo posticino sarà tutto coperto di pampini, di ritrovarci ancora qui per godere le medesime delizie. “