Palazzo Tartara

Palazzo Tartara, come è noto, deve il suo nome all’ ingegnere e architetto Ettore Tartara, al quale gli amministratori avevano affidato l’incarico di progettare la sistemazione e l’ampliamento dell’ Ospedale Maggiore degli Infermi di S. Andrea. Diversi erano stati i suoi disegni e in particolare uno del 1862 riguardava l’area delimitata, secondo la toponomastica attuale, da viale Garibaldi, piazza Roma e via Galileo Ferraris, all’epoca rispettivamente viale del foppone (cimitero dell’Ospedale ), piazza della stazione, via di Sant’Andrea. I lavori  eseguiti in questa zona erano realizzati coinvolgendo anche l’area che comprendeva da un secolo l’orto botanico ospedaliero, un giardino particolare dove erano coltivati i semplici : quelle essenze vegetali dalle quali si traevano i medicinali naturali. Aveva così fine quell’orto, la cui storia era iniziata a metà Settecento, quando gli amministratori dell’Ospedale avevano deciso di ampliare uno dei giardini già allora esistenti e di  utilizzare per questo scopo un terreno confinante, dove in precedenza si trovava un tratto delle mura cittadine, fatte abbattere, dopo la resa di Vercelli ai francesi nel 1704, e mai più ricostruite. L’intenzione era quella di formare un orto botanico di dimensioni tali da permettere non solo di coltivare i semplici a scopo terapeutico ma anche di aggiungere una finalità didattica. In questo modo il nuovo orto botanico diventava un vero e proprio laboratorio all’aperto, nel quale i praticanti della Facoltà di Medicina potevano aggiungere, alle conoscenze dei testi, l’osservazione diretta delle piante officinali.

Come voleva la prassi, per utilizzare quell’area occupata in precedenza dalle fortificazioni era necessario chiederne la concessione a Carlo Emanuele III di Savoia, concessione che giungeva nel 1757 con la clausola ben precisa che l’Ospedale racchiudesse il terreno nel suo recinto. Passavano però ben sei anni prima che gli amministratori potessero provvedere a questo muro, previsto addirittura “voluttuoso”, quindi costruito bene e con i suoi ornamenti. Del resto il progetto era stato richiesto al primo architetto del Re, il conte Benedetto Alfieri, molto attivo tra l’altro anche a Vercelli, ma di fatto a disegnarlo era stato poi, come succedeva molte volte,  un giovane alle sue dipendenze, l’arch. Luigi Barberis, destinato a diventare a sua volta famoso. Doveva essere proprio bella questa cinta, che oggi non esiste più, essendo stata distrutta con tutto l’orto in base al progetto Tartara. Di sicuro era stata talmente costosa che un privato, un benefattore, si era offerto di pagarne tutte le spese, perchè non fossero intaccati  i fondi riservati agli ammalati poveri dell’Ospedale.

All’impianto dell’orto si procedeva gradualmente e nel 1773 si poteva dire di essere a buon punto ; l’area era estesa nel complesso circa 3200 metri quadrati e permetteva la coltura di semplici molto vari, tra i quali non mancavano gli “exotica”, cioè le essenze provenienti dai paesi extraeuropei ed ormai acclimatate. In quello stesso anno nella zona più interna dell’orto veniva completata la costruzione di una citroniera, una serra, dove tra l’altro erano portati al riparo dai rigori invernali i vasi degli agrumi, compresi gli immancabili cedri.

Facciata ( via G. Ferraris )Pur ricordando l’impegno profuso dagli amministratori, si deve riconoscere che l’anima di questo giardino di botanica era stato uno speziale, un farmacista si direbbe oggi, il vercellese Tommaso Balloco, formatosi nei più importanti centri scientifici italiani e rimasto sempre in collegamento con i più accreditati esperti della sua epoca. Ancora una volta l’Ospedale di Sant’ Andrea  di Vercelli aveva rivelato quindi il suo impegno e la sua importanza nel contesto della storia ospedaliera grazie a questo orto settecentesco, che proseguiva la sua esistenza nel secolo successivo con alterne vicende fino alla costruzione dell’attuale Palazzo Tartara.

A questo punto è però necessario continuare il viaggio a ritroso nel tempo fino a giungere al Cinquecento per trovare in un’area dell’ospedale, questa volta non ancora ben precisata, un giardino dei semplici, realizzato proprio nell’epoca in cui in Europa nascevano gli orti botanici delle grandi università e di altri ospedali importanti. Anche allora era stata fondamentale la presenza di uno speziale, anzi il primo speziale da quando nel 1555 l’Ospedale medievale di S. Andrea di Vercelli era diventato l’Ospedale maggiore della città. La sua assunzione tuttavia non era avvenuta immediatamente, in quanto le  nuove Costituzioni, approvate nel 1564 dal duca sabaudo Emanuele Filiberto, prevedevano che si acquistassero le medicine già preparate e non si istituisse una spezieria interna all’Ospedale fino al momento in cui le finanze non lo permettessero. Così solamente nel 1570 gli amministratori potevano nominare uno speziale che lavorasse nell’Ospedale con un salario adeguato, anche se continuavano ad acquistare una parte delle materie prime e dei medicinali già confezionati dagli speziali esterni. La scelta era caduta su Gerolamo Alda, speziale qualificato e proprietario di una bottega molto ben provvista, che era una di quelle da cui  l’Ospedale già si riforniva e che poteva mantenere aperta, almeno nei primi tempi.

In base ad un’apposita convenzione, Alda era quindi entrato al servizio dell’Ospedale maggiore e aveva formato in appositi locali la spezieria, dotandola di tutto quanto era  indispensabile per il suo funzionamento allo scopo di preparare i medicinali naturali secondo ricette specifiche, alcune delle quali sono ancora oggi note nei loro componenti. Questo speziale non si era limitato ad allestire il primo nucleo della farmacia, fatto di per sé già particolare, ma poco dopo la nomina, nella primavera del 1571, aveva introdotto la coltivazione dei semplici scegliendo un’area apposita dei giardini dell’Ospedale.