Anche a Vercelli una ” bella Madonnina” veglia sulla città
A Vercelli nell’antica e piccola Chiesa romanica di San Bernardo, della quale si hanno già notizie nel lontano XII secolo, si sviluppò una devozione particolare per la Madonna, che si intensificò durante le epidemie, come avvenne nel 1630, anno della terribile peste di manzoniana memoria. Da allora la Vergine Maria fu venerata sotto il titolo di Salute degli infermi e i fedeli, riconoscenti per la sua materna protezione, affollarono sempre più numerosi la chiesa, che fu raffigurata al numero 19 in un disegno del 1670 nel “Theatrum Sabaudiae”. Quando poi nel 1835 il colera, propagatosi in Piemonte, non colpì Vercelli, i devoti aumentarono e per poterli accogliere in San Bernardo, la chiesa fu ampliata, su progetto di Carlo Emanuele Arborio Mella, occupando una parte del giardino retrostante all’abside, che fu pertanto abbattuta. I lavori, durati due anni, compresero la costruzione dell’attuale Cappella della Madonna degli Infermi, inserendola nel lato sinistro della chiesa antica, oltre a quella del campanile, conservato ancora oggi. Nel 1884 una nuova epidemia di colera risparmiò la città di Vercelli e così i suoi abitanti accorsero ancora più numerosi nella chiesa, che ormai era anche conosciuta con il titolo di Santuario della Madonna degli infermi, rivelando come le dimensioni dell’ampliamento eseguito fossero allora del tutto inadeguate e come lo stato di degrado fosse grave.
Don Iginio Pagliano, il Rettore nominato l’anno successivo, affrontò subito i problemi, per cui lo studio dei restauri fu affidato a tre esperti, Giuseppe Locarni, Federico Arborio Mella e Carlo Costa. Nel 1887 lo stesso Rettore pubblicò un opuscolo sia per motivare la necessità di costruire un nuovo Santuario, che fosse degno della Madonna, dei nuovi tempi e della città di Vercelli, sia per sollecitarne i finanziamenti. Infatti a quel punto l’architetto Locarni aveva già eseguito gratuitamente i disegni del progetto, che si trovavano esposti nella Chiesa di San Bernardo, della quale egli era parrocchiano. Invece gli aiuti economici sarebbero giunti con una lentezza tale da permettere all’impresario Giovanni Berra di iniziare i lavori solo nel 1894.
E proprio a Locarni, “…geometra\ architetto industriale\ pubblico amministratore\ per molti titoli insigne…” fu dedicato un monumento nel piccolo giardino a lato del Santuario, ultima sua grande opera. Poco lontano in seguito ne fu posto un altro per Don Pagliano, con questa iscrizione: “Per ricordare ai posteri\ lo zelo infaticato per le anime\ la carità generosa verso i poveri\ di Mons. D. Iginio Pagliano \ per 47 anni Rettore di S. Bernardo\ canonico della Metropolitana\ qui lo vollero\ accanto al nuovo tempio votivo\ da lui eretto a maggior culto e gloria\ della Madonna degli Infermi\ parrocchiani amici ammiratori\ N. Vercelli, 23 giugno 1849\ M. Vercelli, 22 ottobre 1932”.
Nel grandioso progetto di ampliamento, che eliminò quello precedente di Arborio Mella, era previsto che in cima alla cupola del nuovo Santuario fosse collocata una statua in alluminio della Madonna degli Infermi, ma in questo caso il disegno fu eseguito dal prof. Morgari di Torino e il modello fu realizzato dal Campi di Milano. Nel disegnare la statua, Morgari volle che riproducesse l’immagine dipinta nel quadro della Madonna degli infermi posto nella sua cappella e quando l’opera fu pronta, il “Vessillo” su richiesta dei lettori ne pubblicò più volte la fototipia, una fotografia stampata con un metodo speciale che metteva in risalto i chiaroscuri.
Però la statua, essendo fedele a ogni particolare che il quadro aveva all’epoca, oggi non corrisponde più del tutto alla tela, in quanto l’ultimo restauro, completato nel novembre del 2005, l’ha riportata alle forme originarie del 1630, liberandola dai rifacimenti eseguiti nel corso del tempo, per cui tra l’altro sono di nuovo visibili i lunghi capelli sciolti della Madonna.
In particolare poi costituì una vera novità la scelta di far eseguire la statua in alluminio, perché questo metallo, sconosciuto fino all’inizio dell’Ottocento, fu lavorato a livello industriale solo dopo che nel 1886 furono registrati i brevetti del suo processo di fusione. Così la statua della Madonna degli infermi, realizzata nel 1896 nello stabilimento di Carlo Volpi a Milano, con il costo di 1850 lire, è una delle prime opere d’arte fuse in alluminio. Inoltre questo metallo duttile e leggero, di colore argenteo e resistente alle corrosioni, ha fatto sì che la statua, pur essendo alta quasi tre metri e solida per il suo spessore, pesasse solo un quintale e mezzo e si conservasse inalterata nel tempo.
Infatti il bozzetto della statua era in allestimento all’inizio di febbraio del 1896 e per coprire i costi della sua realizzazione si pensò di organizzare un Banco di beneficenza, per cui don Pagliano informò dell’iniziativa il ” Vessillo di S. Eusebio” per averne il sostegno. Il direttore del giornale, Giorgio Chiozza, pubblicò subito un articolo, intitolandolo “Splendida idea!”, nel quale espresse il suo pieno appoggio e sottolineò il fatto che in questo modo anche Vercelli avrebbe avuto sulla sommità di una delle sue chiese un segno della devozione alla Madonna, come era già successo a Milano e in altri grandi centri.
Inoltre per formare il Banco, fu istituito un Comitato, presieduto dal Rettore e composto da giovani soci del Circolo Guala Bicchieri, che attraverso una circolare, unita al numero di metà marzo del “Vessillo”, chiedeva di consegnare in alcuni negozi o al giornale offerte e oggetti, suggerendo ornamenti di vario genere, ricami e generi alimentari. La risposta dei devoti alla Madonna degli Infermi, di tutte le età e condizioni sociali, fu rapida e generosa, mentre il “Vessillo” pubblicò i nomi dei benefattori e i regali, formando dodici lunghe liste, precedute a volte da lettere dettate dalla fiducia nell’aiuto della Madonna.
Il direttore del “Vessillo” ebbe modo di vedere a fine aprile il primo gruppo di oggetti donati nell’arco di questi mesi, che avevano raggiunto il numero di tremila, garantendo così di coprire le spese per la statua e per l’allestimento del Banco. Non si trattava di un insieme di cianfrusaglie, ma di begli oggetti di carattere religioso e artistico, oltre che enologico, con una varietà perciò di bottiglie di vino, di marsala e di vermouth tali da far concorrenza alle migliori cantine. Chiozza concluse scrivendo di avere visitato “un vero bazar orientale lussureggiante per vivacità di tinte, per graziosità e finezza di lavoro, pel pregio intrinseco ed estrinseco e per l’utilità degli oggetti che lo compongono”.
L’apertura del Banco era prevista subito dopo la benedizione della statua della Madonna degli Infermi, che era stata completata con il ritardo di un mese per i problemi verificatisi durante la fusione. Infatti solo il 22 maggio avvenne il trasporto ferroviario a Vercelli dell’opera, che fu subito trasferita nella Fonderia Locarni, oggi rimaneggiata in parte e vicina al sottopassaggio per l’Isola, per provvedere all’armatura necessaria. Poi la statua fu portata nel recinto ancora disadorno del nuovo Santuario, nel quale furono preparate anche le tende del Banco, e nel primo pomeriggio di domenica 24 maggio, senza grandi apparati, a causa dello spazio ristretto, fu benedetta dall’Arcivescovo di Vercelli mons. Carlo Lorenzo Pampirio, dopo il canto di ringraziamento del “Te Deum”.
In seguito la statua della Madonna venne posta sulla cima della cupola, ma rimase coperta fino al pomeriggio di domenica 31 maggio, quando fu possibile vederla per la prima volta nella sua collocazione definitiva.
Per quanto riguardò il Banco, la vendita dei biglietti, che costavano 20 centesimi l’uno e corrispondevano ormai a settemila oggetti, ebbe inizio a metà pomeriggio del 24 maggio e proseguì fino alle dieci di sera, con l’illuminazione a gas allestita gratuitamente e con l’accompagnamento musicale della bandina dell’Ospizio di Carità, già presente alla benedizione. Il Banco, come annotò “La Sesia”, fece subito affari d’oro, tanto che rimasero per i successivi sorteggi solo tremila oggetti, ridottisi poi a pochi, anche se alcuni erano di gran valore. Così all’inizio di giugno il Comitato decise di ricorrere a un’Asta pubblica, che si tenne per due volte di domenica nella vicina Chiesa di San Pietro Martire, dove le funzioni parrocchiali furono trasferite durante tutto il periodo dei lavori di ampliamento. A essere messi all’incanto furono alcuni ricami preziosi, come l’elegante fazzoletto donato da Paolina Ivaldi, Direttrice del Collegio delle Orfane di Vercelli, una croce d’oro del valore di 50 lire, oltre a un apparecchio elettrico e a un bel binocolo. A questi oggetti si aggiunsero i quadri non estratti in precedenza, costituiti da una “Sacra Famiglia” , da una “Morte di San Giuseppe” e dal più prezioso di tutti, che era una copia ricamata in seta di “Nostra Signora delle Grazie” di Parigi, dono dell’Arcivescovo.
Il bilancio finale del Banco di Beneficenza e delle Aste fu largamente positivo, poiché superò, con l’aggiunta di alcune offerte in denaro, le 7500 lire e, dedotte tutte le spese, permise al Comitato di versare alla “Cassa dei restauri della Chiesa” quasi 4000 lire. Si trattò di una vera boccata d’ossigeno per l’ingente debito,rimasto anche dopo l’inaugurazione del nuovo Santuario avvenuta il 21 novembre 1896, assillando quindi a lungo don Pagliano, il quale aveva voluto con fermezza una Chiesa grandiosa, coronata da quella che i fedeli vercellesi chiamano abitualmente “ la nostra Madonnina”.